Next Generation EU, meglio conosciuto come Recovery Fund, è il programma che va ad integrare il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, nonché il principale strumento europeo per la ripresa post-Covid19.
Rappresenta una delle grandi vittorie degli Stati Membri che hanno dimostrato di aver appreso dalla storia, decidendo di affrontare l’attuale crisi economica e sociale mediante un approccio cooperativo e di solidarietà, in contrapposizione alla politica di austerity che ha già dimostrato di non essere vincente.
Dopo tutto, è proprio la solidarietà uno dei valori fondanti dell’Unione Europea, sancito dall’art.2 TUE. Eppure, non possono che definirsi intense le trattative cominciate a maggio con la proposta presentata da Francia e Germania che richiedevano di strutturare il sistema di aiuti in un fondo di 500 miliardi di euro. Una proposta importante che ha sancito l’inizio dei negoziati e che ha bloccato l’aumento, a quel tempo incontrollato, dello spread italiano, causato dalla pericolosa frase della Presidente della BCE, Christine Lagarde, “We are not here to close spreads” ovvero “non siamo qui per ridurre lo spread”.
Da quella proposta iniziale il Next Generation EU ha fatto molta strada. A maggio la Commissione ha rilanciato mettendo sul piatto un pacchetto di aiuti da 750 mld di euro, prevedendo una componente prevalente di sovvenzioni. Ciò non ha sedato, tuttavia, il dibattito nato in capo alla fazione dei paesi cosiddetti “frugali”, guidata da Olanda, Austria e Danimarca, la quale ha continuato a contrastare tale linea, giudicata troppo “solidale”.
È stato solo dopo una seduta straordinaria durata quattro giorni, a cui hanno preso parte i Capi di Stato dei Paesi membri nella sede del Consiglio europeo, che il 21 luglio si è giunti ad un potenziale accordo.
In quella sede è stato deciso che il Next Generation EU avrebbe avuto una dotazione finanziaria di 750 miliardi, dei quali 390 mld sotto forma di sovvenzioni e 360 mld in prestiti. In riferimento alla possibilità di accesso ai fondi, il 70% delle risorse sarà a disposizione dei singoli Stati a partire dal 2021, mentre la restituzione dei finanziamenti avrà inizio nel 2026, data in cui l’UE cesserà l’emissione di titoli. Sì, perché la Commissione Europea sarà autorizzata a contrarre prestiti, “per conto dell’Unione”, per finanziare il piano di aiuti agli Stati Membri.
Un omaggio a quel valore di solidarietà contro cui Germania, Olanda e Paesi nordici si sono scontrati a lungo perché si sa, un’efficiente gestione delle risorse è prioritaria.
Per quanto riguarda la ripartizione dei contributi, mentre allo strumento per la ripresa (Recovery and resilience Facility) spetta la quota maggioritaria (672.5 mld), il resto dei fondi va a rafforzare alcuni programmi chiave tra cui:
Tutti strumenti volti non solo ad affrontare l’emergenza sanitaria ma anche a sostenere la ripresa economica, aggiungendosi alle ampie misure nazionali già adottate.
E l’Italia?
Il 9 settembre si è tenuta, presso il Comitato Interministeriale per gli Affari Europei (CIAE), la prima riunione volta a definire le priorità di spesa dell’Italia, la quale, dopo una dura battaglia, è riuscita ad ottenere il 28% delle risorse stanziate, per un totale di 209 mld, 81 mld in finanziamenti a fondo perduto e 127 mld per la componente di prestiti.
Circa le modalità con cui verranno spesi questi fondi, nonostante la presentazione dei Piani nazionali per la ripresa sia richiesta da Bruxelles tra gennaio e aprile 2021, l’Italia si è già attivata e prevede di completare la stesura del Piano entro ottobre, in concomitanza alla Legge di Bilancio.
Finora sono sei le aree prioritarie annunciate dal ministro Gualtieri sui cui dovranno concentrarsi gli interventi: digitalizzazione, innovazione competitività del sistema produttivo, transizione ecologica, salute, infrastrutture per la mobilità, istruzione e ricerca, inclusione ed eguaglianza sociale e territoriale.
A questi pilastri tematici, il Governo ha aggiunto obiettivi quantitativi tra cui “l’aumento degli investimenti pubblici per portarli almeno al 3% del PIL”, “raddoppiare il tasso medio di crescita dell’economia italiana portandolo in linea con la media UE (1,16%), “conseguire un aumento del tasso di occupazione di 10 punti percentuali per arrivare all’attuale media UE (73,2%)”.
Questo nuovo e massiccio piano di aiuti rappresenta un’occasione straordinaria per intraprendere in maniera decisa quel percorso di trasformazione del sistema economico-sociale che, già necessario, è reso ancora più urgente dall’emergenza sanitaria globale. In particolare, i settori chiave su cui bisognerà concentrare gli sforzi saranno ambiente e innovazione digitale.
Il 16 settembre nel suo discorso sullo stato dell’Unione, la Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha riaffermato quali sono gli obiettivi principali da perseguire, rendendoli allo stesso tempo più ambiziosi, come quello di portare la percentuale di riduzione delle emissioni di gas serra almeno al 55% entro il 2030, e focalizzandosi su quegli interventi necessari per ridurre le diseguaglianze e rispettare i diritti dei singoli, come l’obiettivo riguardante l’introduzione di una riforma contro il dumping salariale. Obiettivi che non potrebbero essere raggiunti senza una cooperazione generale (e solidarietà).